L'autorità della Bibbia alla base della fede evangelica rappresentata dall'AEI

  1. Al centro della fede evangelicale c'è l'autorità della Scrittura riconosciuta e assunta come referenza fondativa. Essa è la rivelazione scritta di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Come Cristo è Dio e uomo nel medesimo tempo così la Scrittura è in modo indivisibile, Parola di Dio in linguaggio umano. La Scrittura va dunque confessata come Parola di Dio, e non lo diventa in un particolare momento. La sua autorità è quella di Dio stesso[4]. Essa si fonda infatti sull'iniziativa di Dio stesso di rivelarsi senza alienarsi e come tale impone un atteggiamento previo al di là dell'esperienza religiosa, pure notevole, degli uomini. La sua sufficienza libera dalla relatività e rimanda ad una verità indubitabile e oggettiva di cui è garante Dio stesso.

Questa concezione respinge una fede dominata dalle opinioni del momento, o nutrita dall'ideologia che suppone una limitazione di Dio nella rivelazione a causa della finitudine dei mezzi umani. Infatti, una fede che si pone come istanza autonoma rispetto alla Scrittura, rischia di essere costantemente dipendente dal soggettivismo e dal fideismo del proprio tempo perdendo la radicalità dell’aggancio al Sola Scriptura della rivelazione biblica.

  1. La posizione evangelicale corrisponde a quella dei Padri e dei Riformatori[5]. Anch'essi ritenevano che la Scrittura avesse piena autorità, fosse totalmente ispirata da Dio e perfettamente chiara come testimonianza che Dio rende di se stesso. Essendo la norma scritta suprema, ogni coscienza è legata a Dio e l'autorità della chiesa è subordinata a quella della Scrittura. Il carattere plenario dell'ispirazione impedisce un'ipotetica distinzione tra ciò che sarebbe ispirato da Dio e ciò che invece sarebbe semplicemente umano.

Questa concezione esclude l'ipotesi che si debba considerare la Scrittura come una semplice «testimonianza»[6] umana dell'esperienza della rivelazione. Significa altresì che è illecito sottoporre la Scrittura al lavoro della critica biblica per spogliare il testo da quelle che si ritengono inutili incrostazioni del tempo in cui le Scritture furono redatte.

  1. La fede evangelicale riconosce nell'autopresentazione della Scrittura le condizioni per l'interpretazione stessa. Il fatto che essa si presenti come divina e umana detterà i criteri per la sua interpretazione (Scriptura sui ipsius interpres). Si eviterà quindi di assumere criteri esterni ad essa. La Scrittura rappresenta infatti un processo storico complessivo in cui Dio e la storia sono profondamente intrecciati ed evidenzia il carattere progressivo della rivelazione.

Questa concezione respinge la tentazione di fare una lettura tendenzialmente storicizzante della Scrittura, o se si vuole storico-critica, che sulla base di presunte acquisizioni sostiene il superamento di certe concezioni troppo elementari e una pluralità di posizioni tra loro incompatibili all'interno stesso della Scrittura.  

  1. L'interprete evangelicale accetta il travaglio connesso al riconoscimento dell'autorità della Scrittura, cercando di studiarla ed ubbidirle, senza cercare rifugio in altri tipi di "garanzia"[7]. Lo Spirito Santo che ha ispirato gli autori biblici è anche all'opera per suscitare la fede nel suo messaggio e farne comprendere il senso[8]. Cercherà dunque di rispettare i generi letterari senza imporre al testo le proprie chiavi interpretative, siano esse letterali, simboliche o altro e si farà guidare dalla Scrittura stessa secondo l'analogia della fede.

Questa concezione respinge il tentativo d'assumere e fidarsi della capacità critica umana. Malgrado l'apparente rischio, il primato riconosciuto alla ragione anziché alla Scrittura come fanno gli evangelici, è una specie di garanzia rispetto alle condizioni di credibilità diffuse; un modo sofisticato per garantirsi davanti alla lotta col dubbio della ricerca e dell'ubbidienza.


 [4] Ciò che Dio dice corrisponde a ciò che la Scrittura dice (cfr At 4,25 // Sal 2,1; Eb3,7 // Sal 95,7-9); ciò che la Scrittura dice corrisponde a ciò che Dio dice (Rm 9,17 // Es 9,16; Gal 3,8 //Gen 12,8;18).

 [5] L'idea che il mondo evangelicale sia in continuità col pensiero dei Riformatori è solida anche se qualche studioso cerca ancora di collegare la lettura storico-critica con quella dei Riformatori. Quest'ultima è una tesi priva di riscontro storico che trova la sua giustificazione solo alla luce di una lettura preconcetta. Sarebbe allora giusto accantonare un simile equivoco e riconoscere, come ha fatto lo stesso Barth, che la dottrina classica dei Riformatori sulla questione della Scrittura non è stata recuperata neppure dalla neortodossia.

 [6] Da un punto di vista biblico il concetto di «testimonianza» non ha alcuna connotazione limitativa. Essa è infatti legata alla nozione di verità («la nostra testimonianza è vera»: 3 Gv 12; Prv 14,25) e sottolinea una corrispondenza tra mandante e mandato («chi riceve voi, riceve me e chi riceve me riceve colui che mi ha mandato»: Mt 10,40), per cui ha carattere di piena obiettività.

 [7] Gli evangelici sono sovente criticati per la ricerca di sicurezza sintetizzata nel loro affidamento all'autorità della Bibbia mentre i critici dichiarano d'assumere un maggior rischio in quanto avanzerebbero solo con la precarietà della ricerca critica. In realtà bisognerebbe capovolgere tale impostazione, perché è proprio l'atteggiamento critico che tenta di garantirsi sottraendosi alle condizioni poste dalla stessa autopresentazione della Bibbia. Talvolta si dà l'impressione di voler «tutelare» Dio quasi si temesse per lui. Tali forme di superspiritualità sono quanto mai sospette perché in nome di un'idea di Dio si sottraggono alle coordinate della stessa rivelazione di Dio Ma la Scrittura rimane Parola di salvezza e di giudizio di Dio a prescindere dalle decisioni umane e non ha certo bisogno di essere collegato ad un evento imprevedibile.

 [8] Il locus della sovranità di Dio va trovato non nella dottrina modificata (alla Barth) dell'ispirazione, ma nel tema dell'illuminazione (cfr 1 Cor 2,10-16).