Dichiarazione di Arlington sulla traduzione della Bibbia

Importante documento sulla traduzione in lingue/culture a maggioranza musulmana

Roma (AEI), 31 ottobre 2020 – Un appello a seguire criteri di fedeltà ai testi originali nella traduzione biblica viene dalla Dichiarazione di Arlington, pubblicata a fine ottobre 2020. Tra i firmatari numerosi traduttori della Bibbia e responsabili di chiese e agenzie missionarie operanti in paesi a maggioranza musulmana. Ecco il testo della Dichiarazione.

Affermiamo che i sessantasei libri canonici della Bibbia, i quali furono scritti originariamente in lingua ebraica, aramaica e greca, è Parola di Dio in forma scritta. Per cui, questi libri non hanno errori nei manoscritti originali, e sono infallibili in tutto quello che affermano. Sebbene i manoscritti originali probabilmente non esistono più, la Parola di Dio è stata preservata per mezzi fuori dall’ordinario in tutte le copie che possediamo oggi.

Affermiamo che la Bibbia è la parola impeccabile di Dio e che Dio ha creato sia la mente umana che il linguaggio in se stesso. Di conseguenza, il significato della parola di Dio può essere espressa fedelmente in ogni lingua umana tramite la traduzione della Bibbia.

Affermiamo che sia la struttura grammaticale che il campo semantico delle parole o frasi variano da lingua a lingua. I traduttori devono capire queste differenze linguistiche in modo da esprimere accuratamente la Verità di Dio con lo stesso livello di chiarezza dei testi nelle loro lingue originali.

Affermiamo che la Bibbia appartiene a Dio e che «nel gran numero dei consiglieri sta la salvezza». (Proverbi 11:14). Di conseguenza, incoraggiamo le società bibliche ed i traduttori a condividere il loro lavoro online e gratuitamente quando questo è possibile, così che ognuno di noi, possa sia beneficiarne che averne poi l’opportunità di dare i propri commenti utili per future correzioni.

Affermiamo che l’opera rivelatrice dello Spirito Santo è essenziale per capire la parola di Dio in modo corretto (1 Corinzi 2:14). Inoltre, Dio ha fatto della sua Chiesa la «colonna e sostegno della verità» (1 Timoteo 3:15). Quindi, Dio ha dato alla Chiesa la responsabilità di tradurre fedelmente la Sua Parola. Sia la chiesa globale che quella locale è benedetta da una conoscenza rilevante e di valore (tale la conoscenza delle lingue originali o di quella che si vuole tradurre, o la conoscenza teologica) che permette traduzioni fedeli della Bibbia, mentre i credenti lavorano umilmente insieme nell’unità dello Spirito. Le traduzioni dovrebbero essere prodotte in modo tale da esprimere fedelmente l’autorivelazione di Dio, onorare le assemblee locali che usano la traduzione, e mantenere il legame della pace nella Chiesa globale. In relazione alle affermazioni fatte, quindi proponiamo i seguenti principi come guida per indirizzare alcune pratiche problematiche in alcune traduzioni recenti della Bibbia.

Articolo I

I traduttori non dovrebbero tradurre affermando in modo implicito o esplicito la teologia di altre religioni al danno di contorcere il significato, il contesto, o le implicazioni teologiche dei testi canonici nelle lingue originali.

- Ad esempio, le prime parole della professione di fede Islamica («Non c’è nessun Dio, ma Allah/Dio») non dovrebbe essere usata in nessuna traduzione della Bibbia, poiché questa frase è distintamente una frase Islamica, il cui significato Islamico e connotazione interferisce con la comprensione fedele del testo biblico. Per i musulmani, la prima metà della professione di fede Islamica richiama di conseguenza la seconda parte «e Maometto è il messaggero di Allah/Dio». Questa frase incorpora e definisce anche il concetto Islamico che Dio sia assolutamente uno, esplicitamente negandone la Trinità. In contrasto, la Bibbia attesta il monoteismo insegnando che non c’è nessun Dio all’infuori del SIGNORE – cioè, YHWH, Il Dio fedele d’Israele, che è Padre, Figlio, e Spirito Santo (ad es. 1 Re 18:39, Salmi 18:31, Corinzi 8:4-6, Efesini 4:4-6).

Articolo II

Poiché ogni persona in ogni cultura ha il bisogno di conoscere la Verità di Dio in tutta la sua pienezza, le traduzioni bibliche non dovrebbero evitare di confrontare il peccato o la falsità che i testi originari confrontano, sia tra credenti che non credenti.

- Ad esempio, se qualche indù si offendesse perché il padre del figlio prodigio grida, «Portate fuori il vitello ingrassato, ammazzatelo» (Luca 15:22-23), i traduttori non dovrebbero sviare dal vero significato ed eliminare il vitello dalla storia, a concludere solo con la festa. Nascondendo il vero significato, risulta nel togliere l’evidenza importante che Gesù non considerò l’uccisione di un vitello peccato, cosa che la gente deve capire in modo da pensare in modo biblico.

- Allo stesso modo, anche se i fedeli di idolatria sono offesi dalla forte polemica di Isaia contro gli idoli nei versi presenti in Isaia 44:9-20, i traduttori non dovrebbero addolcire la traduzione, perché il significato stesso è parte del messaggio ispirato da Dio, ossia che Dio detesta l’idolatria.

Articolo III

Lo Spirito Santo ha creato un arazzo di verità che si intrecciano nei testi biblici, contenente un numero di parole o termini che sono chiave. I traduttori dovrebbero impegnarsi ad ottenere una elevata coerenza nella traduzione di questi termini chiave per conservare questo significato intrecciato quanto possibile nella traduzione.

- Ad esempio, la parola greca κύριος («Signore») non deve essere tradotta in modo diverso in base all’opinione dei traduttori sul fatto che la parola si riferisca a Dio il Padre o Dio il Figlio. Traducendo κύριος come «Allah/Dio» per Dio il Padre (ad es. 1 Pietro 3:12; Salmi 34:15-16), ma come «Maestro» o «Signore» per Gesù (ad es. 1 Pietro 3:14-15; Isaia 8:12-13) oscura l’uguaglianza di Gesù con il Padre, poiché il Padre ed il Figlio sono Maestro, Signore e Dio allo stesso livello.

- Nello stesso modo, il termine «Figlio di Dio» ed i termini «Padre» e «Figlio» quando riferiti a Dio, dovrebbero essere tradotti usando gli stessi termini che sono usati normalmente per esprimere la relazione umana padre-figlio. L’aggiunta di attributi ai termini famigliari (come in «figlio spirituale») o usando termini che non sono primariamente famigliari (come «Messiah», «amato», «principe» o «guardiano») inevitabilmente fanno perdere una parte del significato divinamente inteso. Termini che esprimono direttamente la relazione umana di padre-figlio sono necessari in modo che i lettori possano connettere insieme i concetti chiave, per esempio, che Gesù è l’unico erede naturale del regno di Dio, che usufruisce dalla relazione unica al Padre, che Gesù è l’immagine esatta del Padre, e che è il Primogenito d’ogni creatura (Matteo 21:37-38, Ebrei 1:2-3, Colossesi 1:13-18). Inoltre, tale terminologia è necessaria per i lettori a capire la nostra adozione da figli di Dio (Giovanni 1:12-13, Romani 8:14-29, Galati 4:1-7), l’offerta di Isacco da parte di Abramo (Genesi 22:1-18); la parabola dei vignaioli omicidi (Matteo 21:33-46, ecc.), il padre nella parabola del figlio prodigo (Luca 15:11-32) ed altre connessioni importanti nelle Scritture. Si può indirizzare un’interpretazione potenzialmente incorretta attraverso l’insegnamento Cristiano o attraverso libri di introduzione, note o glossario.

Conclusione

In conclusione, affermiamo che tutte le Scritture ed i prodotti basati sulle Scritture dovrebbero aderire ad ogni principio summenzionato. Nel caso contrario, sollecitiamo che tali prodotti vengano rettificati.

Noi, i firmatari, ci impegniamo a seguire questi principi in tutto il nostro lavoro relativo alla traduzione della Bibbia, e esortiamo che tutti i traduttori ed organizzazioni facciano la stessa cosa.