Il caso George Floyd e gli evangelici

Ritrovare l’eredità smarrita dell’azione sociale

Roma (AEI), 10 giugno 2020 - Sono passati 15 giorni dagli avvenimenti di Minneapolis sfociati nella morte di George Floyd. Il 46enne afroamericano, originario di Houston e padre di due figli, è deceduto a causa delle violenze gratuite e dell’abuso di potere da parte di forze di polizia. Le riprese video di alcuni passanti hanno fatto luce su una realtà gravissima: quella dei soprusi procurati da chi è in autorità e talvolta alimentati da sentimenti di odio razziale. L’episodio non è un caso isolato: negli Stati Uniti questo è solo l’ennesimo di una lunga serie.

E il problema non è nemmeno solo americano, anzi, riguarda certamente anche il nostro paese. Il caso Cucchi ha visto l’individuazione di chiare responsabilità tra le forze dell’ordine solo ad un decennio dai fatti. Giustizia è arrivata dopo molto tempo anche per le violenze alla scuola Diaz di Genova. Altri fatti di cronaca nera che hanno coinvolto le forze di polizia sono rimasti senza colpevoli per diversi decenni (caso emblematico è l’omicidio di Giorgiana Masi avvenuto nel 1977 sul Ponte Garibaldi durante una manifestazione a Roma).

La morte di Floyd ha sollevato una protesta enorme e non solo negli Stati Uniti. In qualche caso essa è sfociata in ulteriore violenza determinando così un circolo vizioso che può solo acuire le discriminazioni e l’odio. La domanda che dovremmo porci in una simile circostanza sarebbe: cosa hanno da dire gli evangelici su George Floyd, sull’odio razziale, sulle ingiustizie e sull’abuso di potere? A guardarci intorno sembrerebbe che l’evangelicalismo abbia poco da dire: poche sono le riflessioni significative ed in generale l’episodio viene vissuto come qualcosa di estraneo dove il nostro contributo è assente o solo marginale. Ma non dovrebbe essere così almeno per due grandi motivi.

Innanzitutto la trama biblica ci consegna numerosi insegnamenti applicabili al contesto dell’odio, dell’abuso di potere e della violenza. Già in Genesi la vicenda di Caino e Abele (Gn 4) offre uno spaccato tra la cultura della sopraffazione e quella dell’amore. Le vicende di Abramo nel paese di Gherar (Gn 20) vedono il Signore quale protagonista di un’azione riprensiva verso il patriarca per il suo atteggiamento omertoso e defilato. La storia si ripete con Isacco (Gn 26), come a significare che spesso siamo tardi a capire la Sua Volontà. Si passa poi agli abusi commessi dai fratelli su Giuseppe messi a contrasto con la capacità di quest’ultimo di gestire il suo potere con moderazione, amore ed equilibrio (Gn 37 e 42-45). La storia di Mosè ci presenta un uomo insofferente alle ingiustizie (Es 2:16-17): egli passa dalla reazione violenta (Es 2:11-12) fino a condurre un’azione pacifica a tutto campo per liberare il popolo d’Israele dall’oppressione egiziana. La Torah ma anche tutto l’Antico Testamento ci presentano un’etica per lo straniero sorretta dai principi di accoglienza e responsabilità. Il chiaro/scuro tra la magnanimità del giovane Davide e le azioni sconsiderate del re Saul suonano come una condanna degli abusi di potere verso chi è in autorità. Nei sapienziali la giustizia e l’equilibrio costituiscono emblema di vera regalità. Tra i profeti spesso la riprensione di Dio è azionata dalle ingiustizie e dagli abusi di chi ha potere. Nel Nuovo Testamento si moltiplicano gli appelli all’equilibrio, alla magnanimità. Il Signore Gesù indica la categoria della giustizia come fondamentale per il suo ministero (Mt 3:15). Essa è struttura portante delle beatitudini (Mt 5:6,10) ed è associata a doppio mandato al tema del Regno di Dio (Mt 5:20; 6:33; 13:43; Rm 14:17). Mentre le parabole e i gli insegnamenti di Gesù si focalizzano sul governare con giustizia e moderazione, gli Apostoli offrono a più riprese applicazioni pratiche di magnanimità per chi è in posizione di potere (Ef. 5:22-30; 1 Pt 3:1-7; Cl 3:18-26; Filemone). Una tale ricchezza biblica sul tema contrasta col nostro immobilismo sociale e dipingono le fughe dei credenti dalle sfide socio politiche come un atteggiamento ribelle agli insegnamenti del Vangelo.

In secondo luogo la storia dell’evangelismo ci indica che la giustizia sociale deve avere un posto importante seppure non totalizzante nella missione cristiana: come ci ricordano il Patto di Losanna e il Manifesto di Manila la missione è rilevante se sa essere sia verticale (salvezza delle anime) sia orizzontale (azione sociale). Per avere esempi concreti di come gli Evangelici possano fare la differenza partiamo dall’esempio del politico britannico William Wilberforce che lottò incessantemente e con successo dal 1786 al 1833 per l’abolizione del commercio degli schiavi africani e contro la stessa schiavitù. Nell’intestazione di uno dei suoi scritti politici (“An Appeal to religion, justice and humanity of the inhabitants of British Empire”) Wilberforce pone due raccomandazioni bibliche del tutto appropriate: “Guai a colui che costruisce la sua casa senza giustizia e le sue camere senza equità, che fa lavorare il prossimo per nulla, non gli paga il salario” (Gr 22:13) e “Pratica la giustizia, ama la misericordia” (Michea 6:8).

Nella storia più recente con risolutezza possiamo fare una veloce disamina dei Premi Nobel per la Pace. La prima edizione fu assegnata all’evangelico risvegliato Henry Dunant (Nobel 1901) che fondò la Croce Rossa e diede impulso alle Convenzioni di Ginevra. Che dire di Martin Luther King (Nobel 1964), il pastore battista che condusse la più grande battaglia pacifica per i diritti civili degli afroamericani? Ma anche di recente gli ultimi due anni hanno visto premiare il medico pentecostale congolese Denis Mukwege (Nobel 2018) per il suo impegno in favore di donne vittime di stupro anche da parte di persone in autorità, e il politico pentecostale etiope Abiy Ahmed Ali (Nobel 2019). Da ciò possiamo imparare che quando gli evangelici trovano spunto dalla Parola di Dio per un’azione socio politica incisiva e determinata, allora Dio benedice quegli sforzi con risultati del tutto inaspettati. Se stiamo agendo poco in favore della giustizia significa non solo che siamo lontani dal Vangelo e dalla Scrittura, ma anche che siamo immemori o ignoranti di ciò che Dio ha già fatto e benedetto.

Che il caso Floyd possa suscitare un sussulto di giustizia tra gli evangelici e mettere in azione una progettualità che la creazione aspetta con impazienza. (GC)