DICO: tra ambiguità e para-matrimonio

Una dichiarazione della Commissione etica e società dell'Alleanza Evangelica Italiana

La presentazione da parte del Governo di un DDL sulle unioni di fatto invita a proseguire la riflessione partecipata, anche da parte degli evangelici. Essendo già intervenuta su questi temi con i documenti "Omosessualità: un approccio evangelico" (8/11/2004) e "Gli evangelici e le unioni di fatto" (18/9/2005), entrambi consultabili su  www.alleanzaevangelica.org, la Commissione etica e società dell'AEI offre questi spunti per un ulteriore approfondimento alla luce di questa proposta di legge.

Si capisce subito dall'art. 1: "Due persone maggiorenni e capaci, anche dello stesso sesso, unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale" che il problema principale del DDL sulle unioni civili è la legittimazione pubblica offerta alle unioni omosessuali ed eterosessuali estranee al matrimonio. Lo si fa esercitando l'indiscussa creatività politica nostrana: la convivenza Dico diventa fattispecie anagrafica per distinguerla da quella matrimoniale, da stato civile. Basta poi questo per ridisegnare il diritto successorio, i meccanismi pensionistici, assistenziali, economici e quant'altro. A capo di questa nuova convivenza anagrafica si estendono di fatto tutele e diritti che, però, non possono essere considerati mera estensione dei diritti individuali o tentativo di norma minimale delle proprie relazioni. L'estensione si iscrive in una equiparazione di fatto di tutte le relazioni.

L'elemento che più preoccupa gli evangelici è l'azione dello Stato (nella fattispecie della legge e delle politiche a sostegno di molte forme di convivenza) volta ad equiparare, di fatto se non ancora pienamente di diritto, le molteplici relazioni affettive e sessuali oggi presenti.

La convinzione evangelica è che, dal punto di vista sessuale ed affettivo, nessuno possa dirsi "normale". A causa del peccato, tutti viviamo una dimensione distorta della relazionalità, bisognosa di essere guarita e riconciliata dalla grazia di Cristo. In questo campo, il cammino di guarigione passa attraverso la vocazione al matrimonio o 
alla condizione di celibato/nubilato. Questi sono gli ordinamenti della creazione che la grazia conferma e rinnova. La chiesa ha la responsabilità di predicare e praticare questo orizzonte di verità e di libertà, anche se si tratta di insegnamenti non "politicamente corretti".

Lo Stato ha una sfera di attribuzione diversa. Non è suo compito dare un giudizio morale nei confronti delle relazioni omosessuali o di altre relazioni liberamente scelte. Questo non fa parte delle sue competenze ed è giusto che disciplini i diritti individuali all'interno delle relazioni che le persone liberamente scelgono. Il problema del Dico è il riconoscimento "pubblico" di tali relazioni come aventi "valore sociale" da difendere e promuovere, in modo del tutto simile alle famiglie così come concepite nell'art. 29 della Costituzione italiana.

Prima di attribuire diritti civili para-familiari, occorre distinguere opportunamente le unioni matrimoniali e altri tipi di relazioni legalmente legittime, come amicizie o semplici convivenze (come anche tra scuole e imprese, tra chiese e Stato ecc.). La famiglia ha "valore sociale" e questo ha una valenza simbolica, giuridica, politica, economica, sociale e culturale. Le altre relazioni sono libere espressioni di stili di vita, ma lo Stato non ha competenza per attribuire loro un simile valore.

Il Dico proposto va oltre il riconoscimento di diritti individuali e si avvicina molto ad un simil-matrimonio, soprattutto quando gli viene riconosciuto un valore sociale che, sin qui, è stato riconosciuto alle famiglie: si pensi all'assegnazione degli alloggi popolari, ai ricongiungimenti familiari, agli aiuti economici che da ora in avanti tutti i provvedimenti per la famiglia saranno costretti a riconoscere anche ai Dico ecc. Coloro che scelgono di vivere in una relazione affettiva, anche con persone dello stesso sesso, sono certamente liberi di vivere come vogliono. Tuttavia, ridefinire il riconoscimento pubblico delle relazioni affettive e sessuali diverse dal matrimonio ope legis, è  molto rischioso, soprattutto perché attribuisce valore sociale a rapporti che devono essere mantenuti sul piano dei diritti individuali e apre la porta alla loro progressiva equiparazione.

Va dato atto al Governo di aver provato a normare un settore dinamico e complesso, soggetto a molteplici controversie. Riconoscendo e promuovendo la pluralità dei diversi contesti, rifiutando l'omofobia, e riconoscendo il diritto a tutti di vivere e ordinare la propria vita come meglio si crede (purché non si danneggi l'altro); tuttavia, non è 
possibile ignorare il dato strutturale della creazione di Dio che prevede la famiglia monogamica ed eterosessuale come nucleo della società e il ruolo dello stato che rispetta le scelte di vita dei cittadini, ma riconosce "pubblicamente" solo le unioni matrimoniali. Questa proposta di Dico infrange entrambi gli aspetti e andrebbe opportunamente rivista.

Roma, 13 febbraio 2007