Addosso al Fondamentalismo!

Le gravi inesattezze di Mons. Ravasi

Monsignor Gianfranco Ravasi è uno dei massimi I biblisti cattolici viventi. Grande conoscitore del testo biblico, unisce alle competenze esegetiche eccellenti doti di comunicatore. Le sue conferenze sono seguitissime, i suoi libri sono ben venduti, i suoi articoli sono pubblicati sui più importanti giornali nazionali, i suoi programmi televisivi registrano share di tutto rispetto. In genere, Ravasi espone opinioni molto equilibrate e bilanciate.

Sul Fondamentalismo, però, gli è capitato di fare qualche scivolone. Ad esempio, rispondendo a una lettrice sul numero domenicale del Sole-24 ore il 13/11 scorso, gli è scappato qualche commento a dir poco strampalato. Alla signora, che gli chiedeva nien-temeno di "spiegare una volta per tutte cosa sia il Fondamentalismo biblico e quale sia la sua aporia", Ravasi ha iniziato ricordando i dodici volu-metti dei Fundamentals che, tra il 1905 e il 1915, furono pubblicati per difendere le cinque verità fondamentali del Cristianesimo, che erano state messe severamente in discussione dal liberalismo teologico.

Il Fondamentalismo è il Cristianesimo che ritiene vere l'inerranza biblica, la divinità di Cristo, la sua nascita verginale, l'espiazione del suo sacrificio e la sua risurrezione corporale.

Può il Cristianesimo non essere fondamentalista, in questo senso?

Ravasi concorda sulla necessità di rifarsi alle fondamenta, ma prende le distanze dal Fondamentalismo. Perché? Ci sono ragioni storiche e teologiche che stanno alla base della sua analisi tanto piccata quanto inconsistente.

Primo, Ravasi non distingue tra il Fondamentalismo iniziale e il neo-Fondamentalismo che si affermò a partire dagli Anni Venti del Novecento. Contrariamente a quello che dice Ravasi, il Fondamentalismo dei Fundamentals non asseriva l'idea dell' ispirazione meccanica della Scrittura (dettatura) né era contrario alle istanze scientifiche che contemplavano un processo evolutivo. Il neo-fondamentalismo successivo, invece, s'irrigidì nel considerare la dettatura come il modo in cui la Scrittura fu ispirata, si scagliò contro ogni ipotesi di convergenza tra evoluzione e racconto biblico, e coltivò un atteggiamento anti-accademico. Siccome Ravasi non fa la distinzione storiografica, attribuisce al Fondamentalismo ciò che invece è caratteristico del neo-Fondamentalismo. E fa il primo errore.

Secondo, Ravasi sbaglia, perché fa un gran calderone nell' esaminare il mondo evangelicale contemporaneo e mette insieme fenomeni che vanno distinti. Parla del Fondamentalismo come di una vasta area che comprende gli "evangelicals" (ancora con le virgolette?), i telepredicatori, i neoconservatori, i carismatici, addirittura i Testimoni di Geova! Fare di tutta l'erba un fascio è tipico di chi non conosce le cose di prima mano, e Ravasi dimostra di non sapere di cosa sta parlando. Mettere insieme evangelici e antitrinitari (come i geovisti) è come mettere capre e cavoli nella stessa categoria. Mettere insieme fenomeni tipicamente nordamericani (come la "Moral Majorìty ") con il movimento evangelicale, che è globale, significa leggere una realtà complessa facendo diventare una parte il tutto. Ravasi sembra non essere consapevole del cammino che gli evangelicali hanno fatto nell' affermare la necessità della missione insieme alla responsabilità sociale, e nel tenere unite la proclamazione e l'inculturazione del messaggio evangelico. E questo è il secondo errore.

Terzo, Ravasi attacca "a gamba tesa" il Fondamentalismo, dicendo addirittura che esso nega l'Incarnazione e la storicità della Rivelazione cristiana. Accipicchia! Quest'accusa è pesante! Se il Monsignore fosse stato così cortese da indicare le fonti di tali affermazioni, avrebbe fatto un servizio utile. Siccome però tali fonti non ci sono, dispiace doverlo contraddire. Se Ravasi avesse veramente letto il volume Dichiarazioni evan-geliche. Il movimento evangelicale, Bologna, EDB 1997 (che, peraltro, lui stesso ha recensito sempre su un numero domenicale del Sole-24 ore), avrebbe preso atto dell'inconsistenza delle proprie accuse. Gli evangelicali, eredi del primo Fondamentalismo, sono profondamente convinti dell'intreccio tra umanità e divinità delle Scritture e dell'esigenza di leggerle rispettando i generi letterari in cui sono scritte. Tutto il contrario di quanto dice Ravasi.

Il quarto errore attribuisce al sola Scrittura della Riforma la negazione della tradizione e del senso ecclesiale dell'interpretazione biblica. Non c'è niente di più lontano dalle posizioni dei Riformatori e anche del movimento evangelicale contemporaneo. Se Ravasi avesse ricordato che la Chiesa di cui fa parte ha tenuto il popolo lontano dalla Scrittura per molti secoli, avrebbe avuto migliori argomenti su cui meditare che non avventurarsi nel dire cose che, forse, ha letto nella letteratura cattolica antiprotestante precedente al Vaticano II. È vero che tra gli evangelicali c'è il rischio di una lettura individualistica della Scrittura, ma non c'è un rischio speculare nel Cattolicesimo di non leggerla?
Purtroppo, Ravasi è in buona compagnia nel dare addosso al Fondamentalismo senza conoscerlo. Sono molti coloro che pontificano sul Fondamentalismo, senza avere uno straccio di evidenza bibliografica e di familiarità con le fonti. Si accontentano di un'immagine distorta che si sono fatti a piacimento e che si autoalimenta. Un esegeta del calibro di Ravasi dovrebbe sapere che, per conoscere un fenomeno, occorre andare ad fontes. Limitarsi a ruminare pregiudizi infondati e critiche pretestuose non aiuta né la comprensione né il dialogo tra persone di fedi diverse.

L.D.C.