Quo vadis cittadinanza?

Un contributo evangelico al dibattito sullo ius soli

Roma (AEI), 4 gennaio 2018 – La Commissione etica e società dell’Alleanza Evangelica Italiana interviene sul dibattito riguardante la cittadinanza con una riflessione significativa (ndr).  

La discussione sulle modifiche alla legge sulla cittadinanza, con l’introduzione del cosiddetto ius soli, non ha finora prodotto nulla di concreto. Anzi, scomparso il momentum in cui la riforma della legge poteva essere approvata in coda a questa legislatura, difficilmente potrà esserlo nella prossima vista l’incertezza delle future configurazioni parlamentari.

Da più parti, le norme previste per l’acquisizione del titolo di cittadino, sono state lette, probabilmente in malafede e comunque in modo strumentale, come il pericoloso cavallo di Troia che permetterebbe a chiunque metta piede in Italia di diventare italiano. Ovviamente, non sono queste le intenzioni della proposta legislativa. E ridurre il dibattito democratico a un gioco a perdere in cui l’obiettivo sembra essere semplicemente l’appropriazione di un diritto (che naturalmente spetterebbe “a noi” e non “a loro”) è pura mistificazione [1]. Ma la riforma va fatta, e la legge va approvata al più presto, anche se l’etichetta di ius soli forse non è tra le più felici.

Il tema, però, pur avendo un’imprescindibile natura giuridica, non può svilupparsi senza una necessaria precisazione degli orientamenti culturali, un approfondimento degli aspetti religiosi e delle ricadute costituzionali che ne derivano. Infatti, il futuro della cittadinanza in un mondo sempre più turbolento e populista, segnato da un’ansia crescente da migrazioni, da una diffusa incapacità a vivere e governare le pluralità, dalla paura di subire una forzata marginalizzazione, risulta essere molto incerto.

L’Alleanza Evangelica Italiana [2] ha da tempo avviato una linea di riflessione con  diversi documenti [3], tra i quali si segnalano Immigrati e confini responsabili (2008) e Fratelli d’Italia: l’immigrazione come sfida per ripensare il Paese (2009) ai quali si rimanda per ulteriori approfondimenti. Allo stato attuale, almeno tre possono essere le coordinate di un contributo evangelico al tema della cittadinanza.

Una cittadinanza plurale
In un contesto socialmente fluido e culturalmente dinamico come il nostro, però, non sono utili le semplificazioni [4]. Infatti, è da respingere il tentativo - settario e riduttivo - di definire univocamente la cittadinanza quale espressione principe dell’identità di una Nazione, privilegiando spesso appartenenze religiose, presupponendo legami valoriali con i già residenti, l'uso compiuto della lingua, l'abitudine e il gusto per le tradizioni e il modo di vivere locale, ecc.
La cittadinanza nel XXI secolo non può che avere un profilo multidimensionale: riguarda lo status giuridico e il coinvolgimento civile, i diritti e i doveri, l’identità e le appartenenze, le virtù pubbliche e l’impegno sociale, l’equità e la responsabilità verso il bene comune. E tutti questi elementi sono da valorizzare, in una cornice di naturale pluralità culturale e confessionale.

Una cittadinanza propositiva
Nella prospettiva cristiana, la cittadinanza è inoltre da intendersi come status politico e vocazione morale piuttosto che come santificazione del folclore nazionale o come mero possesso di un passaporto. Essa non si sostanzia solo nel paniere di diritti che dovrebbe caratterizzare l’individuo nella sua autonomia, magari proteggendolo dall’azione estensiva e penetrante dello Stato, ma anche come dovere condiviso orientato alla realizzazione della giustizia e del bene comune in una nazione.

Alcune conseguenze derivano dallo scenario appena delineato.
In primo luogo, come motore della società civile, l’esercizio della cittadinanza genera corresponsabilità - con le istituzioni, i corpi intermedi, gli individui - degli esiti di tutti quei processi democratici necessari alla realizzazione del bene comune; finalità, queste, che nessun Paese può realizzare senza il coinvolgimento attivo di tutti gli attori della società civile e senza la ricerca di negoziazioni sostenibili e di compromessi accettabili.
In secondo luogo, essere cittadini implica anche diventare corresponsabili dell’implementazione operativa e della realizzazione pratica del progetto di giustizia e di bene comune di un Paese.
Il dibattito, la critica, la mobilitazione, la protesta democratica e tutte le forme di mobilitazione pacifica sono dunque elementi che devono continuare a caratterizzare e valorizzare il profilo di una cittadinanza democratica, plurale e critica.

Una cittadinanza protettiva
La cittadinanza garantisce, inoltre, uno status personale che, fra le altre cose, crea i presupposti per proteggere le persone dalle fragilità e dalle vulnerabilità che caratterizzano i ceti più deboli e le periferie sociali. A partire dai minori.
Mantenere una sottoclasse di individui in condizione di vulnerabilità sociale, di precarietà economica e culturale è contrario ad ogni articolazione moderna dei diritti umani e rischia di produrre pericolosi fenomeni didumping sociale. In tale cornice la contrapposizione tra interessi degli italiani più sfortunati e gli interessi dei migranti non può che dissolversi.

La riforma della legge sulla cittadinanza, allora, se qualificata in una prospettiva plurale, orientata verso la giustizia, la responsabilità e il bene comune, segnata dall’attenzione per i più deboli e vulnerabili può contribuire davvero a creare le condizioni per un mondo sociale più eguale e più giust

[1] Nei testi biblici, l’elemento determinante per definire il trattamento riservato agli stranieri non è l’etnicità. Non c’è, poi, nessuna differenza tra ger e nokri – le due principali parole per descrivere le categorie di stranieri e migranti nella Bibbia. Ad essere determinante era la motivazione e l’auto-identificazione. In ogni caso, l’indicazione è chiara: “Vi sia un'unica legge per il nativo del paese e per lo straniero che soggiorna in mezzo a voi” (Esodo 12,49). Ed è in questa cornice che le responsabilità sono articolate e precisate.
[2] Cfr l’utile documento dell’Alleanza Evangelica Europea, EEA Asylum Crisis Advocacy: policy positions, 2016.
[3] Si veda anche Stranieri con noi, Supplemento n. 7, Studi di teologia, 2009.
[4] Dimentichiamo facilmente che senza dinamiche migratorie, le chiese in particolare e il cristianesimo in generale non avrebbero avuto il profilo globale e universale che caratterizza la fede cristiana. Su questo punto risulta molto interessante il lavoro di Elaine Padilla e Peter C. Phan (a cura di), Christianities in Migration: The Global Perspective, New York, Palgrave Macmillan, 2016.