Amicizie durature

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2015 03 amicizie durature pic1Adam, è un giovane che dà una mano nel centro GIM di Piedimonte Etneo. All’età di 13 anni aveva assistito all’uccisione della sua sorella gemella e da quel momento aveva avuto continui incubi e soffriva di una forte depressione. Inoltre in Libia aveva trascorso circa 6 mesi in prigione (perché era senza documenti) ed aveva subìto altri maltrattamenti. L’abbiamo conosciuto al Centro di accoglienza circa 2 anni fa. Era seguito dallo psicologo del campo e prendeva psicofarmaci.

Ancora oggi non è facile per lui, ma lo vediamo molto più sorridente e arriva sempre col suo quaderno per le lezioni di italiano. Non era mai andato a scuola, ma ora sta cominciando a leggere parole bisillabe semplici e pian piano anche parole più complesse. Da alcuni mesi ha perso anche la mamma e questo è stato un altro colpo molto duro. Ora gli rimane solo il fratello di 17 anni che, grazie al Signore, ha incontrato una coppia che si sta prendendo cura di lui in Senegal. Ha cominciato ad andare a scuola grazie ai soldi che riusciamo a inviargli saltuariamente. A Mineo abbiamo conosciuto tantissime persone che ora hanno lasciato il CARA e ospitato circa 5'000 “richiedenti d’asilo” che ci hanno visitato nell’ufficio di Mineo! Di molti di loro non abbiamo mai saputo il nome, perché solo di passaggio per prendere qualche abito e un paio di scarpe.

2015 03 amicizie durature pic2Diversi li abbiamo invece conosciuti in modo particolare: abbiamo ascoltato le loro storie, abbiamo scherzato assieme, ci hanno cucinato piatti tipici e hanno trascorso qualche giorno al nostro centro di Piedimonte Etneo. In particolare ci ricordiamo di Gé- rémie, Rahm, André, Charles, Shaid, Robin, Shaikol, Massaouda, Mohamed, Zibzki, Kamran, Akeem, Allyson, Viviane, Sahid, Paul, Mike, Isaac, Moazam… Chissà, magari un giorno i nostri cammini si incroceranno nuovamente. Oggi a Mineo incontriamo regolarmente Amara, Mamadou, Seiku, Promise e tanti altri… ognuno con la propria storia e con i propri sogni.

Da diversi mesi andiamo anche regolarmente a Caltanissetta (a circa 2 ore dalla nostra base GiM), dove portiamo cibo e vestiti a profughi pakistani, afghani e maliani che vivono accampati sotto un ponte. Cambiano continuamente, perché spesso sono lì di passaggio in attesa del rinnovo del permesso o di essere accolti in un campo, ma ci sono varie occasioni anche di parlare con loro (mentre beviamo il tè che ci offrono). Ultimamente siamo stati un po' tristi perché Adnan, un ragazzo che ci aiutava regolarmente e con cui si era instaurato un buon rapporto, è stato improvvisamente trasferito ad un centro d’accoglienza vicino a Napoli, da un giorno all'altro... lui inizialmente non voleva andarsene ed era disperato perché diceva di aver trovato qui una famiglia! Siamo comunque in contatto telefonico con lui, ma ciò dimostra ancora una volta la complessità nell’organizzazione dell’accoglienza. A Caltanissetta possiamo contare sul grande aiuto di Giuseppe e Silvia, una coppia che ha un cuore per i profughi. Si stanno dedicando tantissimo a loro, visitandoli regolarmente anche in altri giorni della settimana. Inoltre ci aiuta anche Sameh, un egiziano che avevamo conosciuto nel CARA di Mineo due anni e mezzo fa. Ora ha il permesso di lavoro, abita a Caltanissetta, parla correntemente l’italiano e ci aiuta di cuore. Con lui a volte viene anche Jan, un pakistano che lavora con Sameh e che ci apprezza e ci vuole bene. Lui ha la moglie e la figlia di 3 anni (che non vede da 2 anni e mezzo) in Pakistan. Sta facendo i passi per il ricongiungimento famigliare, ma la burocrazia è lenta e complessa. Oltre a visitare gli “accampati”, visitiamo anche gli ospiti di un altro Centro (circa 140 richiedenti d’asilo), in un comune vicino a Caltanissetta. Lì abbiamo conosciuto varie persone, ma tra di loro alcuni uomini che fanno parte di una minoranza etnica del Pakistan (Beluci) un popolo da anni ferocemente perseguitato, al quale non viene neppure concesso il diritto di parlare la propria lingua. Da chi non conosce questa realtà, essi sono semplicemente considerati pakistani, ma loro non si sentono tali perché il loro popolo “beluci” è continuamente perseguitato.

Adam

Roma, 23 maggio 2015