Ideaitalia - Nuova serie, Anno II · n. 26 · 3 ottobre 2018

SPECIALE DOMENICA DELLA MEMORIA 2018
(in collaborazione con l’Istituto di Formazione Evangelica e Documentazione)

Domenica della memoria

28 ottobre 2018

Il 31 ottobre 1517 Lutero affisse le 95 tesi a Wittenberg. Questa data ha un forte valore simbolico in quanto viene ritenuta, se non proprio l’inizio della Riforma protestante, almeno un suo passaggio fondamentale. Sta di fatto che dopo l’affissione delle 95 tesi, la Riforma assunse un profilo pubblico e di popolo. La Domenica della memoria (in molti Paesi chiamata “domenica della Riforma”) è allora un’occasione per ricordare la riscoperta dell’evangelo imperniata sul riconoscimento dell’autorità della Scrittura, la centralità di Gesù Cristo, la gratuità della salvezza, l’esigenza che tutta la vita sia vissuta per la gloria di Dio. Oltre a sentirsi eredi spirituali della Riforma protestante, l’Alleanza Evangelica è consapevole del fatto che l’identità evangelica possa e debba collegarsi a tutte le epoche della storia del popolo di Dio che hanno contribuito alla testimonianza fedele all’evangelo, partendo dall’età dei padri della chiesa sino ai risvegli dell’età moderna e contemporanea. Quest’anno la Domenica della memoria sarà incentrata su alcuni anniversari importanti: il 40° anniversario della Dichiarazione di Chicago sull’inerranza della Bibbia (1978), il 100° anniversario della Grande Guerra con il ruolo dei cappellani evangelici (1918-2018) e il 400° anniversario del sinodo di Dordrecht (1618-1619). Le tre schede seguenti offrono materiali per animare brevi rievocazioni nell’ambito dei culti e delle apposite riunioni tenute in occasione della Domenica della memoria.

Visto che dall’11 al 18 novembre 2018 si terrà in molte città e regioni italiane la campagna evangelistica My Hope, in collaborazione tra le chiese evangeliche italiane e la Billy Graham Evangelistic Association (BGEA), può essere opportuno ricordare anche il centenario della nascita del grande evangelista americano Billy Graham (1918-2018), andato col Signore proprio quest’anno e a cui Ideaitalia ha dedicato la giusta attenzione, e ringraziare il Signore per una simile testimonianza di uomo di Dio pregando al contempo per frutti copiosi nell’annuncio dell’evangelo in Italia tramite l’iniziativa My Hope.

Parola vera di un Dio verace
La Dichiarazione di Chicago sull’inerranza della Bibbia (1978)

Gli ultimi decenni hanno testimoniato un rinnovato interesse in ambienti evangelicali nei confronti della dottrina dell'autorità della Scrittura. In particolare, la riflessione si è attestata su tre documenti che sono stati elaborati nel corso di altrettanti congressi internazionali appositamente convocati e tenuti nella città di Chicago [1]. La Dichiarazione del 1978 ha inteso consolidare una teologia evangelica della Scrittura all’insegna dell’indissolubile legame tra Gesù Cristo e la Scrittura nell’ottica dell’inerranza (veridicità) del testo biblico. Quella del 1982 ha voluto sottolineare un’ermeneutica evangelica della Scrittura all’insegna del principio dell’analogia della fede. Quella del 1986 ha inteso suggerire piste per un’ubbidienza evangelica alla Scrittura nel contesto delle questioni etiche, sociali e politiche del nostro tempo.

Siccome il Dio che ha ispirato la redazione della Sacra Scrittura, santificando gli sforzi redazionali dei suoi servi, è assolutamente veritiero e non può ingannare, ne consegue che per il suo popolo l’inerranza biblica diventa un preciso articolo di fede. Come si esprime la Dichiarazione di Chicago del 1978, “totalmente e verbalmente ispirata da Dio, la Scrittura è esente da errori in tutto il suo insegnamento, non meno in ciò che dichiara a riguardo degli atti creativi di Dio e degli avvenimenti della storia del mondo”. La fedeltà di Dio e l’affidabilità della sua Parola scritta sono intrecciati e costituiscono una reale garanzia di stabilità per la vita e per il ministero di ogni vero cristiano: “L’erba si secca, il fiore appassisce, ma la parola del nostro Dio dura per sempre” (Is 40,8).

Il riconoscimento dell’autorità della Scrittura in ogni ambito di fede e di condotta ha bisogno del contestuale riconoscimento della veridicità della Bibbia. Esso non dipende da una fissazione razionalista, ma è un organico prolungamento e una necessaria implicazione del carattere di Dio, autore supremo della Rivelazione biblica. Dio è vero e verace, la sua Parola scritta, pur essendo pienamente umana e scritta col concorso decisivo di autori e comunità, è vera e verace (2 Samuele 7,28; Salmo 19,7; Giovanni 3,33; Giovanni 17,17; Tito 1,2). Senza questo fondamento, la teologia evangelica si affida ad altre autorità, che possono essere quella della ragione autonoma, della tradizione religiosa, del sentimento prevalente o della maggioranza culturale. Nonostante la babele di linguaggi e di ermeneutiche, la questione di fondo è sempre la stessa: o sotto l’autorità del Dio di Gesù Cristo che si è rivelato dalla Scrittura che ci comunica un messaggio vero e che libera dal peccato, o sotto qualsiasi altra autorità che schiavizza, inganna e che porta alla perdizione.

[1] "Dichiarazione di Chicago sull'inerranza biblica" (1978), "Dichiarazione di Chicago sull'ermeneutica biblica" (1982) e “Dichiarazione di Chicago sull’etica biblica” (1986) in P. Bolognesi (a cura di), Dichiarazioni evangeliche. Il movimento evangelicale 1966-1996, Bologna, Ed. Dehoniane 1997, rispettivamente pp. 132-145, 177-182 e 316-338. Gli atti del congresso sull’inerranza sono stati pubblicati in The Proceedings of the Biblical Conference on Biblical Inerrancy, Nashville, Boardman Press 1987.

Un servizio evangelico nella complessità della storia
I Cappellani militari evangelici nella Grande Guerra (1915-1918)

Anche se la presenza dei cappellani cattolici era predominante nelle Forze Armate nella Grande Guerra, non da meno era per diversità di forza spirituale anche la presenza dei cappellani valdesi e metodisti. Nei reggimenti regolari piemontesi prestavano servizio volontari valdesi, che non dovevano rinunciare alla fede evangelica, seppure non potevano praticarla sotto le armi (gli ebrei invece erano rigidamente esclusi).

Con la costituzione del Corpo Militare di Croce Rossa Italiana si registra un importante numero di cappellani valdesi (ben 14) nelle file dell’esercito italiano. Nelle guerre coloniali infatti, che furono accolte con favore negli ambienti valdesi (non furono pochi i volontari delle Valli nelle fila della Croce Rossa) l’assistenza spirituale venne svolta dai cappellani della Croce Rossa tra cui in Libia il pastore Corrado Jalla, che si era subito offerto, con il compito di fornire un'assistenza religiosa ai militari evangelici e di rappresentare la chiesa valdese, ribadendone il patriottismo e la "pari dignità" con la chiesa romana.

La missione di Jalla fu resa possibile dalla collaborazione della Croce Rossa, che aveva il diritto di inviare al fronte ministri di culto di sua designazione (una collaborazione certamente facili tata dall'appartenenza alla massoneria di molti dirigenti valdesi). Anche Jalla non ebbe quindi il titolo di cappellano, pur svolgendone le funzioni, ma di delegato della Croce Rossa; e infatti indossava un abito nero con un cappello a tese rotonde e un bracciale della Croce Rossa. Da notare che il suo mandato comprendeva l'assistenza a "tutti i soldati evangelici" e il divieto di fare proselitismo.

Con la Grande Guerra (1915-18) la figura del cappellano militare in Italia veniva ripristinata in tutta la sua dignità, necessità ed obbligatorietà secondo il Diritto Internazionale Umanitario. La chiesa valdese, nella sua grande maggioranza, si schierò nel 1914-15 a favore della neutralità italiana. L'accettazione della guerra nazionale faceva parte della cultura della chiesa valdese (non avrebbe senso condannarla in base a una sensibilità posteriore): la chiesa non benedisse la guerra e non indisse culti per la vittoria, ma predicò l'obbedienza allo stato, pregò per i suoi figli mandati al fronte e cercò di assisterli per quanto poteva.

Il 31 marzo 1915 il pastore Ernesto Giampiccoli (presidente del Comitato di evangelizzazione e pochi mesi più tardi moderatore) chiese al Ministero della guerra la nomina di cappellani valdesi nel caso di un intervento italiano nel conflitto. Il 24 maggio l'Italia entrò nel conflitto. Il 2 giugno il ministero nominò i primi cappellani valdesi, i pastori Bertalot, Bosio e Pascal.

La posizione delle autorità militari era chiara: gli ecclesiastici non erano esonerati dalla chiamata alle armi (quelli cattolici mobilitati furono quasi 25.000) e quindi i più giovani dovevano andare in trincea (anche se un po' alla volta la maggioranza venne assegnata ai servizi di sanità). La nomina di cappellani valdesi e ebrei fu concessa con una certa larghezza (rispetto al piccolo numero di militari di cui dovevano occuparsi), senza troppi vincoli al loro operato, la cui organizzazione fu lasciata ai singoli e alle rispettive autorità ecclesiastiche. I cappellani valdesi furono nove, tutti designati dalla Tavola. I primi furono i più giovani dei pastori chiamati alle armi nel 1915 come ufficiali degli alpini, mentre tra i successivi troviamo anche sottufficiali e soldati semplici, un candidato in teologia e un professore del Collegio valdese di Torre.

Nel gennaio 1918 furono nominati tre cappellani metodisti, i pastori Carlo M. Ferreri, Umberto E. Postpischl e Giuseppe La Scala. Le notizie in merito sono abbastanza scarse: non sappiamo perché queste nomine arrivassero soltanto allora (forse l'accresciuta presenza nel conflitto degli Stati Uniti), né perché le prime due citate venissero revocate quasi subito. Nessuno si preoccupò, allora e in seguito, di documentare e studiare cosa pensassero i soldati valdesi della guerra; ma si può dire per loro quello che risulta per le truppe alpine: la guerra fu accettata per obbedienza, non per convinzione o nazionalismo, e fu fatta con senso del dovere [2].

[2] Per approfondire: G. Rochat, I cappellani valdesi, Torino, Claudiana 1996.

Una morte per la vita
Il sinodo di Dordrecht (1618/1619)

Dopo il Cinquecentesimo anniversario della Riforma protestante del XVI secolo che ha registrato così tante iniziative e ha ricordato come gli evangelici del XXI secolo siano anche eredi di un fenomeno così significativo per la cultura del nostro tempo, il 2018 vede la ricorrenza del quattrocentesimo anniversario del Sinodo di Dordrecht (1618/19) [3].

Dordrecht è una piccola cittadina olandese in cui si svolse un importante dibattito sul valore della morte di Cristo. Quando il Signore Gesù moriva sulla croce che tipo di salvezza procurava? Era una salvezza solo ipotetica o era qualcosa di veramente affidabile? Era un ponte sospeso nell’incertezza della decisione umana o era effettivamente tale da salvare i peccatori?

Prima e durante il sinodo si registrò un momento di tensione interna al mondo protestante tra i “rimostranti” che seguivano le tesi di Arminio e coloro che invece avrebbero abbracciato le tesi del sinodo: tale tensione fu dovuta al rispetto della verità della Parola di Dio da parte di vari soggetti coinvolti [4].

Il sinodo sottolineò la stretta corrispondenza tra la morte di Cristo e i suoi effetti nella vita dei credenti. Il piano di Dio non andava considerato un ipotetico disegno, ma qualcosa che Dio effettivamente realizzò grazie al sacrificio di Cristo.
In un periodo in cui il cattolicesimo romano si stava riorganizzando per riprendere la propria supremazia, appariva provvidenziale ripensare la pienezza della morte di Cristo. Essa era effettivamente in grado di provvedere una sicura salvezza. Anche se questo avveniva all’interno di una politica costantiniana interessata all’unificazione della nazione sotto l’insegna di una comune religione, la riflessione dottrinale del tempo contribuì a sottolineare in modo vivido la pienezza del disegno di Dio per la salvezza dei peccatori. Il sinodo affrontò numerose questioni organizzative delle chiese (l’ordine e la disciplina delle chiese, le confessioni di fede, la predicazione, la catechesi, le traduzioni della Bibbia, le missioni, l’ingerenza o meno dello stato nelle questioni religiose), ma al centro ci fu il tema della salvezza di Cristo.

Tra i termini tecnici si trova l’espressione “espiazione definita” per sottolineare proprio che il sacrificio espiatorio di Gesù Cristo non fu una morte di cui ci si sarebbe potuti avvalere o meno, ma che era effettivamente finalizzata alla salvezza di precisi peccatori. In questo modo ci si contrapponeva a forme d’universalismo che relativizzavano il valore della morte di Cristo. Ma anche a forme di sinergismo (cattolico-romane) secondo cui la fede sarebbe un misto tra le iniziative di Dio e le azioni dell’uomo. In questo senso fu una presa di posizione contro quelle forme antropocentrismo umanista che mettevano al centro l’uomo anziché Dio.

Può essere incoraggiante sapere che tra coloro che contribuirono alla definizione dei vari punti ci fu il nostro Giovanni Diodati (1576-1649). Anche per lui la morte di Cristo sulla croce non fu qualcosa estraneo al disegno certo e prefissato di Dio di salvare dei peccatori. Non fu solo una buona intenzione, ma un vero e proprio riscatto per la salvezza di peccatori condannati.

Qualche citazione dai canoni
Poiché non è nostro potere soddisfare Dio da noi stessi, né liberarci dalla sua ira, Dio, nella sua immensa misericordia, ci ha dato per garante il suo unico Figlio, che è stato fatto peccato e maledizione sulla croce per noi, al posto nostro, al fine di soddisfare Dio per noi. (II.2).
Tutti gli uomini sono perciò concepiti nel peccato e nascono figli di collera, incapaci di ogni bene salutare, propensi al male, morti nel peccato e schiavi del peccato. Senza la grazia dello Spirito Santo che rigenera, non vogliono, né possono tornare a Dio, né correggere la loro natura depravata e nemmeno portarvi un miglioramento (III-IV.2).
A causa di quel che rimane del peccato in noi e delle tentazioni del mondo e di satana, quelli che sono convertiti non potrebbero resistere in questo stato di grazia se fossero lasciati alle loro sole forze. Ma Dio è fedele, li conferma misericordiosamente nella grazia che ha conferito loro una volta e li conserva con potenza sino alla fine (V.3).

[3] Nel 2015 è iniziata l’edizione critica del materiale di quel sinodo prevista in cinque grossi volumi. E’ però interessante sapere che la prima traduzione italiana dei Canoni di Dordrecht si trova in Studi di teologia IX (1986), N. 17.

[4] Nell'evangelicalismo moderno e contemporaneo (e quindi nell’Alleanza Evangelica) trovano piena collocazione anche sensibilità diverse da quella espressa dal sinodo di Dordrecht, ma tutte concordi nel riservare all'opera della grazia di Dio e al sacrificio di Cristo un ruolo unico, totale ed insostituibile per la salvezza dell'uomo.

Suggerimenti per il culto della Domenica della Memoria

Benvenuto (il senso della fedeltà di Dio nel tempo)
Canto
Lettura biblica
Preghiera
Rievocazione della Dichiarazione di Chicago (1978), del ruolo dei cappellani evangelici nella Grande Guerra (1918) e del Sinodo di Dordrecht (1618/19)
Canto
Predicazione:  “La Tua Parola è verità” (Gv 17,17) o “La morte di Cristo” (Is 53; Gv 6,37-40; Gv 17,9)
Preghiera
Inno di consacrazione
Benedizione


A cura dell’Ufficio stampa dell’Alleanza Evangelica Italiana
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Redazione: Lucia Stelluti, Chiara Lamberti, Leonardo De Chirico, Giovanni Marino, Stefano Bogliolo, Sergio De Blasi, Carine Francq.

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