Bilancio di fine Giubileo

L’obiettivo

 Spunti per un bilancio di fine Giubileo

 Il deficit del Giubileo evangelico

Finalmente, è finito. La retorica sulla fine del millennio, unita alla scadenza dell’anno santo, aveva reso il povero anno Duemila un po’ indigesto, eccessivo, ridondante.

Formalmente, gli evangelici non hanno avuto parte alcuna nelle celebrazioni del Giubileo, anche se si è assistito a una certa mobilitazione in occasione dell’anno trascorso.

A parole, gli evangelici si sono scagliati contro il Giubileo, non perdendo occasione per denigrare la grandiosa iniziativa cattolica.

A ben guardare, però, essi devono ringraziare il papa per aver offerto loro un’occasione in cui praticare zelo evangelistico e attivismo missionario.

Se non ci fosse stato il Giubileo, che cosa avrebbero fatto le chiese evangeliche in questi anni? Senza il Giubileo, ci sarebbero state tutte le iniziative evangeliche che ci sono state? Senza il Giubileo, quali argomenti avrebbero avuto gli evangelici nella testimonianza? Senza il Giubileo, sarebbero stati prodotti opuscoli, libri, video, ecc. in gran quantità? Senza il Giubileo, si sarebbero investite così tante energie e spesi così tanti soldi?

Insomma, sarebbe ipocrita, per gli evangelici, affermare che il Giubileo con loro non c’entri niente. C’entra, eccome! C’entra in pieno. Ecco perché è necessario riflettere su ciò che è accaduto.

Che bilancio fare del Giubileo evangelico? Gli spunti potrebbero essere tanti, ma ci limiteremo a evocarne due: il grado di assimilazione del Giubileo e il tipo di progettualità dimostrata.

Per quanto riguarda il primo spunto, si può dire che, per gli evangelici, il Giubileo abbia avuto un significato posticcio, artificioso e tendenzialmente strumentale.

Abbiamo parlato e straparlato del Giubileo, senza avere un’adeguata visione giubilare. Ci siamo riempiti la bocca, discettando del “vero” Giubileo (contrapposto al “falso” anno santo cattolico, si capisce), senza avere fatto seriamente i conti con la portata del Giubileo biblico, che prevedeva pochi discorsi e tanti fatti.

Abbiamo ammucchiato parole su parole, senza essere in grado di dare visibilità e concretezza alla nostra sbandierata “fedeltà” al Giubileo biblico. Abbiamo rigurgitato sostanze giubilari non metabolizzate.

Insomma, abbiamo “usato” (o abusato?) il Giubileo biblico, senza averlo veramente assimilato. È come se ci fossimo limitati a suonare il corno del Giubileo, senza far seguire i provvedimenti del Giubileo.

Che cosa abbiamo capito del Giubileo, al di là dell’utilizzo riduttivamente “evangelistico” con cui abbiamo messo a tacere la nostra coscienza?

Certo, c’è stato un fermento di attività, ma l’attivismo non è di per sé un indice significativo. Il modo tipico degli evangelici di rispondere a una sollecitazione esterna è di mettersi in moto, senza che ciò implichi l’aver compreso veramente di che cosa si tratti.

L’impressione è che siamo stati sostanzialmente impermeabili alla provocazione del Giubileo, pur avendone cavalcato la retorica ed essendone diventati alfieri tanto loquaci quanto passivi.

La verniciatura di Giubileo è stata così superficiale da non penetrare al di là della scorza dura della nostra incapacità d’interpretare in modo adeguato la visione biblica, che unisce il dire al fare, l’evangelizzazione alla cultura, l’annuncio al progetto.

Adesso che è finito l’anno santo, molti di noi riporranno il Giubileo nel cassetto e lo dimenticheranno velocemente. In fondo, al di là delle nostre chiacchiere, non ci ha coinvolti più di tanto, e quindi tornerà nell’oblio da cui è stato temporaneamente riesumato.

Il secondo spunto riguarda, invece, il tipo di visione che abbiamo dimostrato di avere per il nostro Paese. Ancora una volta, la chiesa romana  ha dettato lo spartito e si è impegnata in una visione di grande respiro, mentre gli evangelici hanno recitato il copione che più gli si confà: quello di fare una “toccata e fuga”, un’incursione veloce nel campo nemico, per poi ritirarsi nel sempre meno dorato isolamento delle chiese.

Il papa ha dato le carte, e noi siamo stati al gioco, anche se abbiamo avuto la presunzione di essere una voce “contro”. Di fatto, abbiamo avuto bisogno che qualcun altro creasse il contesto, l’occasione, l’evento su cui montare la nostra “campagna”. In proposito, è legittimo chiedersi se dobbiamo sempre aspettare che altri facciano qualcosa per “approfittare” e fare la nostra scorribanda.

Dobbiamo sempre andare “a rimorchio” di un mondiale di calcio, un’olimpiade, un grande evento mediatico, per animare il nostro istinto attivistico?

Può la testimonianza sempre porsi come obiettivo di “sfruttare” in modo surrettizio e strumentale le cose altrui, senza farsi carico di attuare un progetto diverso?

Il Duemila ha dimostrato che la nostra visione per l’Italia soffre di un certo parassitismo, non sembra avere risorse proprie, e allora va alla ricerca di stimoli esterni, che però non aiutano a dare alla testimonianza un impatto significativo. La mentalità della “toccata e fuga” fa imboccare presunte scorciatoie che, a dispetto delle attese, non portano lontano e si rivelano illusorie.

È chiaro che, se non si fanno i conti con la necessità di dare un profilo culturale alla testimonianza evangelica, ogni tentativo soffrirà della sindrome del guerrigliero assediato, che fa un’incursione, per poi darsela a gambe levate. Ma è questo il modo d’interpretare l’identità evangelica in un Paese come l’Italia?

Il deficit del Giubileo evangelico la dice lunga sullo stato del nostro evangelismo. Molte voci del bilancio sono negative, anche se possono essere prese come spunto per lavorare in vista di un’inversione di rotta, senza aspettare il soccorso di un altro papa, che indica un altro anno santo.

Giubileo ed evangelizzazione

Una rapida rassegna della stampa evangelica dell’anno passato, attesta il coinvolgimento di un considerevole numero di credenti nell’evangelizzazione.

È un primo dato positivo. È bello sapere che gli italiani non si sono dati l’alibi di missioni in altri Paesi, né hanno continuato a fare le stesse cose come se niente fosse, ma si sono impegnati nel proprio Paese in un’occasione considerata “speciale”. Questi “giullari di Dio”, come qualcuno li ha definiti, hanno destinato le proprie vacanze a questo impegno straordinario, e si sono uniti a migliaia di altri credenti provenienti dall’estero. Altro fatto positivo sono i dépliant stampati, i libri, le videocassette. Numeri da capogiro. Anche questo è stato notevole.

Molte organizzazioni sono poi venute in Italia per dare il proprio contributo all’evangelizzazione, mobilitando risorse economiche e umane considerevoli. La nave Logos II ha “visitato” i porti di cinque città italiane: Genova, Napoli, Manfredonia, Ancona e Trieste.

Tramite i mass media, la gente ha avuto una certa immagine del Giubileo; tramite queste iniziative evangeliche, ne ha avuto un’altra.

Qualcuno si chiederà se tra le due prospettive c’è proporzione. È un interrogativo legittimo e doveroso. Altri chiederanno se si possa veramente parlare di evangelizzazione. È un interrogativo legittimo e doveroso. Altri chiederanno se si sia veramente fatto tutto per razionalizzare gli sforzi e non creare doppioni. È un interrogativo legittimo e doveroso. Altri chiederanno se vi sia stato un significativo impatto culturale. È un interrogativo legittimo e doveroso. Altri chiederanno se vi sia qualche economista che fornisca i dati economici dell’investimento. È un interrogativo legittimo e doveroso. Un popolo che cresce desidera avere sempre più consapevolezza della propria vocazione e della sua ottimizzazione, e un notiziario deve registrare proposte e domande, affinché chi vuole imparare, impari.

Giubileo e incontri

 Scorrendo velocemente le pagine finali di un vecchio numero di un periodico italiano d’informazione e cultura evangelica, alla voce “Avvenimenti” (previsti per la seconda metà del 2000), si conta una buona dozzina di iniziative di un certo rilievo.

Per esempio, nel solo mese di settembre dello scorso anno hanno avuto luogo almeno cinque Convegni di carattere nazionale (tutti, probabilmente, ben frequentati e apprezzati dai partecipanti). “Meglio di così…”, dirà qualcuno. Di primo acchito, infatti, questo rilievo parrebbe evidenziare un incoraggiante e positivo segno di “movimento” e di vitalità in àmbito evangelico.

In realtà, forse sarebbe il caso che questi dati, per essere veramente significativi, suscitassero o stimolassero come minimo un serio tentativo di verifica degli obiettivi effettivamente conseguiti, rispetto a quelli inizialmente previsti e annunciati. Perché?

Perché quella cristiana non è una fede del “fare” fine a sé stesso: è una fede dell’“essere” (nel modo che Dio vuole) e dell’“esserci” (nel luogo e nel momento che Dio vuole). I credenti sono in grado di praticare le “buone opere, che Dio ha precedentemente preparate” per loro (Ef 2:10), perché prima di tutto Egli li ha trasformati in “figli” Suoi, dando loro un grande obiettivo: essere “irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa”, nella quale risplendere come luci (Fl 2:15). Alla “scuola” di Dio essi imparano allo scopo di attuare e vivere quotidianamente una visione cristiana e biblicamente fondata del mondo. In altre parole, i credenti imparano per poi diffondere una “cultura” evangelica, che è, e dev’essere, “controcultura” rispetto a quella del mondo.

Fatta la verifica, è stato questo l’obiettivo principale dei Convegni e degli incontri evangelici nel corso del 2000? Qualche Convegno è stato presentato come il 2º o il 3º e così via, ma non c’è traccia dei risultati delle edizioni precedenti né dei collegamenti con quelle successive…

E per il 2001? Quale sarà l’obiettivo primario delle iniziative di quest’anno? Come “fissarne” i risultati? Un’idea può essere quella di stilare “comunicati di stampa” conclusivi o “dichiarazioni” finali da raccogliere poi in qualche centro, così da consentire approfondimenti, considerazioni e studi successivi.

La sfida è aperta. E non ci si può tirare indietro.

Giubileo e diffusione della Bibbia

L’organo d’informazione della Società Biblica in Italia, nel presentare le varie iniziative prese in occasione del Giubileo, riporta questa didascalia: “10 progetti con 52 edizioni in 17 lingue, 5 milioni di copie stampate”.

Questi sono numeri interessanti, che indicano l’enorme lavoro fatto e il grande sforzo economico profuso. Ma non possiamo fermarci a questa prima positiva impressione. Infatti, la varietà di progetti e le grosse cifre riportate c’inducono a fare qualche riflessione.

Si nota una certa disparità fra le copie stampate e quelle distribuite. Qualche esempio: Bibbie (Tilc) in varie lingue: stampate 4.000, distribuite 2.000. Vangeli di Giovanni (traduzione letteraria ecumenica): stampati 100.000, distribuiti 4.500. Luca-Atti-Romani (Tilc): stampati 1.100.000, distribuiti 500.000. Ci fermiamo qui.

Visto il gran numero di progetti di edizioni, con quale criterio è stato pensato il numero di copie da stampare? Cosa si farà dell’enorme quantitativo di copie rimaste? In termini di costi, come si potrà giustificare questo “esubero” ai donatori? Il problema della distribuzione fa interrogare sull’effettiva capacità di mobilitazione; quindi, non è fuori luogo chiedersi se si è in grado di coinvolgere un numero adeguato di persone in impegni del genere.

In secondo luogo, vista la partecipazione di opere evangeliche, perché, per le diverse edizioni e porzioni della Bibbia, è stata scelta solo la versione Tilc? Non poteva essere, questa, una buona occasione per far conoscere l’esistenza di versioni evangeliche e, per tanti, la possibilità di conoscere gli evangelici e la loro presenza in Italia?

Certo, gli evangelici dovrebbero avere un certo impegno anche per quel che concerne le scelte editoriali e i contributi accademici, ma qui si tocca un tasto dolente. Quanti sono gli evangelicali presenti nell’esecutivo della Società Biblica in Italia? E dove sono gli studiosi in grado di dare un contributo nel campo delle traduzioni?

Questo fatto è forse un segno di una certa sudditanza verso la chiesa di Roma (non soltanto in occasione del Giubileo)?