Bartolomeo Fonzio (1502-1562)

Nacque a Venezia nel 1502 e, ancora giovane, entrò nell’ordine dei frati conventuali minori.

 Si trattava di un dotto professore fornito di notevole cultura letteraria e teologica. Nel medesimo tempo, era anche un eloquente predicatore.

   Ancor prima di recarsi in Germania nel 1530 per incarico di papa Clemente VII, aveva già predicato idee luterane “all’aperto” in San Geremia a Venezia (1528).

   Nel viaggio in Germania entrò in contatto con i Riformatori, e si avvicinò alla teologia di Lutero. È considerato il responsabile della traduzione in italiano del suo Appello alla nobiltà cristiana di nazione tedesca (1520). “Un felice trapianto del discorso protestante in terra italiana, un’opera di notevolissimo livello anche letterario”, che, verso il 1534, circolava largamente a Venezia. Fonzio passò anche un periodo a Strasburgo, adoperandosi con Bucero in un tentativo di composizione con la tendenza zwingliana.

Nonostante l’ apparente moderazione, fu considerato da un teologo cattolico “un perduto luterano”, che aveva “totum Lutherum in ventre absconditum”.

   Nel 1533, tornò a Venezia nella speranza di un concilio di riforma e riconciliazione.

   Nel 1537, cominciò riunioni in casa sua, in cui si sostenevano opinioni che sapevano di eresia. Fu denunciato come luterano e, per sottrarsi all’Inquisizione e trovare una definitiva assoluzione, cercò rifugio a Roma. Il papa, saputo della sua presenza, lo fece arrestare. Riuscì a discolparsi e fu rimesso in libertà.

   Restò per un certo periodo anche all’Aquila (1537-1541), e nell’abbazia di Farfa redasse un Catechismo. Fu poi a Modena (1544), nelle Marche, a Roma (1546-47), e infine a Padova (1548).

   Nel 1551 si trasferì a Cittadella, dove insegnò come maestro di scuola per circa sette anni, servendosi della Scrittura per il suo insegnamento.

   Le accuse di eresia divennero però più frequenti con il passare del tempo, e, il 27 maggio 1558, Fonzio fu arrestato nella sua stessa scuola, a Cittadella. Fu tradotto a Venezia e messo nelle mani dell’Inquisizione.

   Nei suoi scritti furono trovati 44 capi d’accusa, e il suo processo durò quattro anni.

   Anche se Venezia intervenne con una delegazione del Senato stesso perché gli fosse risparmiata la vita, non vi fu nulla da fare. Poiché non abiurò, il 26 giugno 1562 Fonzio fu condannato quale “eretico, impenitente e pertinace... a essere degradato e poi strangolato” nel carcere, in quanto il suo cadavere doveva “venir trasportato al luogo dei dannati fra le due colonne di S. Marco… e dato alle fiamme”.

   Fonzio fu scosso da questa terribile sentenza, e per un istante parlò di sottomissione, “domandò umilmente perdono della inobedentia ed scandalo dato”, ma poi si riprese, schierandosi dalla parte “della pura verità”, e affrontò coraggiosamente il martirio.

    Siccome la Repubblica Veneta non voleva che si facesse tanto chiasso per motivo di eresia, per non suscitare sommossa tra il popolo, fu ordinato che, anziché strangolare e poi ardere pubblicamente la vittima, la si facesse annegare segretamente al Lido, di notte, con una pietra al collo.

    Nell’opera Fidei et doctrinae… ratio, che Fonzio scrisse durante la sua ultima settimana di prigionia, è esposta una concezione della fede che è tratta dalla Scrittura e dalla lettura di Agostino, di cui egli riprende la dottrina dell’elezione.

                        Pur avendo assimilato i principî della Riforma protestante sulla giustificazione per fede, Fonzio sperava in un concilio capace di ritrovare l’unità della chiesa alla luce della Scrittura. Si trattava evidentemente di un desiderio che non teneva abbastanza conto della divaricazione delle posizioni.

Inserto Ideaitalia, a cura dell'IFED (27 ottobre 2002)