Alleanza e co-belligeranza. Quando è biblicamente giusto collaborare?

Perché l’Alleanza evangelica collabora con i non-evangelici?” “Perché scende in piazza insieme a movimenti politici o religiosi non cristiani?” “Perché promuove e partecipa ad iniziative insieme ad altri soggetti dalle più diverse provenienze e dalle più disparate agende?”. Capita spesso, infatti, che in iniziative per la difesa della libertà religiosa o per sostenere campagne condivise dai cristiani nella società (come la Sfida di Michea per la lotta alla povertà, come la valorizzazione della famiglia, ecc.), gli evangelici si trovino fianco a fianco ad altri soggetti che poco o nulla hanno a che fare con la fede biblica. Tradiscono la fede evangelica se lo fanno? Disobbediscono alla Scrittura? Disonorano la testimonianza? Si fanno strumentalizzare al punto di perdere la loro specificità? Dietro queste domande legittime, ci sono preoccupazioni di vario genere, più o meno giustificate.

Per affrontare questo fascio di questioni, può essere utile ricordare la lezione dell’apologeta evangelico Francis Schaeffer (1912-1984), uno dei personaggi più significativi dell’evangelismo del XX secolo.[1] Schaeffer ha suggerito di distinguere tra “alleanza” e “co-belligeranza” per fare riferimento a due modi di collaborazione che i credenti possono attivare.[2] La prima presuppone l’unità nella verità e riguarda i credenti nati di nuovo soltanto. La seconda letteralmente significa “lottare in compagnia di qualcuno”, si concentra su un aspetto specifico ed è aperta a tutti coloro che lo condividono, a prescindere dalle motivazioni e dagli obbiettivi che li animano.

Tale distinzione rende ragione dell’insegnamento della Scrittura. L’unità profonda esiste all’interno del popolo di Dio sulla base della fede comune in Gesù Cristo (Efesini 4,1-16). Tale unità permette alleanze sul piano del culto, della preghiera, dell’evangelizzazione e della testimonianza in generale (Matteo 28,16-20). Questo tipo di alleanza mostra la forza dell’evangelo di riconciliare persone diverse intorno ad un unico Signore e di inviarle nel mondo per portare il messaggio della riconciliazione (2 Corinzi 5,17-20).

La Scrittura distingue nettamente la fratellanza dei credenti da altri tipi di relazioni senza separarle. Ordina infatti a tutti gli uomini (i credenti per primi) di abitare la terra responsabilmente e alla chiesa di coltivare relazioni di buon vicinato e di impegno per il bene altrui e proprio (Genesi 1,27-31; Geremia 29,5-7; Tito 3,1-2). Nel fare ciò, si è sempre a contatto con le persone più diverse e si deve fare i conti con la pluralità di visioni del mondo. Si vive così talvolta accanto a familiari non credenti, colleghi di lavoro non credenti, coinquilini, vicini e amici non credenti. In quest’ottica, la co-belligeranza è necessaria, utile e … inevitabile. Fa parte della dimensione creazionale e provvidenziale dell’opera di Dio in vista dell’estensione del Suo regno. Per la fede cristiana non sono ammessi atteggiamenti di ritiro monastico o di totale esclusione dalla rete di relazioni sociali. Al contrario, la maturità della fede si manifesta anche nella capacità di intrattenere relazioni multiple con soggetti diversi, senza perdere la propria identità e senza coltivare attitudini culturalmente autistiche. L’importante è distinguere tra l’alleanza e la co-belligeranza.

La co-belligeranza si verifica su questioni circoscritte, in base ad accordi temporanei, in vista di obbiettivi specifici. Ad esempio, sui temi della libertà religiosa, in Italia gli ambienti più sensibili sono quelli “laici”. È naturale, allora, che su questi temi si verifichino convergenze e azioni comuni. Significa che gli evangelici sposano in toto la morale “laica” o la politica dei soggetti con cui co-belligerano su questo punto? Ovviamente no. Semplicemente, registrano vicinanze su questo tema e basta. Sui temi della famiglia, in genere il cattolicesimo romano e l’islam interpretano posizioni vicine a quelle evangeliche. È naturale, perciò, che si formino fronti comuni per la promozione della famiglia basata sul matrimonio. Significa che, per questo, gli evangelici riconoscono il magistero del Papa o si compromettono con la religione musulmana? Ovviamente no. Semplicemente, prendono atto di interpretare una visione della famiglia compatibile a quella di altri movimenti religiosi proprio nel momento in cui l’istituto della famiglia viene messo sempre più in discussione. Altro esempio: sui temi della povertà del mondo, la Sfida di Michea si trova spesso a co-belligerare con le ONG e i movimenti internazionali di tendenza “progressista”. Vuol dire che la fede evangelica è totalmente riconducibile ad una versione no-global della cultura contemporanea? Anche qui, ovviamente no. Vuol dire che sugli Obbiettivi di Millennio dell’ONU, gli evangelici si ritrovano fianco a fianco con una galassia di movimenti che esprimono l’esigenza di giustizia e solidarietà. Gli esempi potrebbero essere molti di più, ma il punto è chiaro. L’alleanza è ad ampio spettro ed è possibile solo tra credenti mentre la co-belligeranza è circoscritta a questioni specifiche ed auspicabile con tutte le persone di qualsiasi orientamento ideologico, religioso, politico, ecc., senza per questo compromettere la fede e creare imbarazzo. Va forse rilevato come l’assenza della dimensione co-belligerante faccia facilmente pensare ad una fede spuria dal sapore docetico, cioè non in grado di affrontare la realtà concreta. Senza la possibilità della co-belligeranza, la fede nutre una vita monca e a rischio di schizofrenia.

Naturalmente, la co-belligeranza ha i suoi rischi. Infatti, si corre il pericolo di strumentalizzazioni, di deleghe eccessive, di perdita di controllo dei processi d’azione, di linguaggi impropri, di sconfinamenti da temi concordati, di travisamento nella comunicazione, di non essere compresa nelle sue finalità, ecc. Per questo occorre vigilare per definire il meglio possibile il tema oggetto della co-belligeranza e per partecipare alla gestione della campagna per favorirne la buona riuscita senza sbavature. La consapevolezza dei rischi connessi alla co-belligeranza non deve paralizzare l’iniziativa evangelica, sapendo che, nel nostro mondo decaduto nel peccato, ogni attività è “rischiosa”, inevitabilmente. Al rischio non si risponde rimanendo immobili e passivi, ma affrontandolo con discernimento cristiano (Giovanni 17,14-19).

Il Patto di Losanna (1974) afferma che “l’evangelizzazione e l’attività sociopolitica fanno parte, ambedue, del nostro dovere cristiano” (n. 5).[3] Mentre la prima deve essere svolta esclusivamente nell’ambito di alleanze cristiane (cioè tra credenti nati di nuovo), la seconda è possibile anche grazie alla collaborazione mirata con tutti gli uomini e le donne. Così facendo, la chiesa potrà testimoniare “la infinitamente varia sapienza di Dio” (Efesini 3,10).

18/1/2011

Commissione teologia e dialogo
Alleanza Evangelica Italiana

 


[1] “Schaeffer, Francis”, Dizionario di teologia evangelica, a cura di P. BOLOGNESI, L. DE CHIRICO, A. FERRARI, Marchirolo (VA), Edizioni Uomini Nuovi 2007, pp. 653-654.

[2] La chiesa alla fine del XX secolo (orig. 1970), Parma, Guanda 1973. Altrove Schaeffer scrive: “un co-belligerante è una persona con cui non vado d’accordo su molte questioni centrali, ma che, per qualunque ragione da parte sua, si trova dalla stessa parte mia su alcune specifiche questioni di giustizia pubblica”, in AA.VV., Plan for Action, Old Tappan, Flemming H. Revell 1980, p. 68.

[3] “Patto di Losanna” in Dichiarazioni evangeliche. Il movimento evangelicale 1966-1996, a cura di P. BOLOGNESI, Bologna, EDB 1997, p. 53 ora anche ripubblicato dalle edizioni GBU.