Ministri di culto, timido segnale positivo in un quadro da riformare

Una recente circolare del Ministero dell’Interno affronta il tema

Roma (AEI), 1 marzo 2018 – Una recente circolare del Ministero dell’Interno, a firma del Direttore Centrale degli Affari di Culto, Dott.ssa Giovanna Iurato, ha fornito alle Prefetture alcuni criteri timidamente distensivi per le istruttorie di riconoscimento di ministri di culto ai sensi dell’art. 3 della legge n. 1159/1929. Certamente non un taglio del nodo gordiano che aggroviglia la libertà religiosa in Italia, ma la sola volontà di dare un segnale in controtendenza rispetto all’immobilismo degli ultimi dieci anni.

Per comprendere la situazione italiana innanzitutto va ricordato che le leggi attualmente in vigore in materia di religione risalgono al periodo in cui Mussolini utilizzò il disgelo col Vaticano per massimizzare il consenso popolare del regime fascista. A pochi mesi dai Patti Lateranensi dell’11 febbraio del 1929, fu promulgata quella legge dei Culti Ammessi (appunto la N° 1159 del 24/06/1929) che costituì la griglia entro cui comprimere progressivamente gli inediti diritti religiosi che avevano contraddistinto il periodo post-unitario. Seguirono il Regio Decreto (N. 289 del 28/02/1931) e il Testo Unico di Pubblica Sicurezza (N.773, del 18/06/1931) si innestavano sempre con un intento restrittivo e vessatorio e il culmine fu raggiunto con l’emanazione della circolare Buffarini Guidi (9/4/1935).

Con l’ingresso in vigore della Costituzione Repubblicana, questo quadro normativo è rimasto indenne in virtù dell’anomalo Articolo 7, che pure a quegli scellerati Patti si riferisce. Vari pronunciamenti nei decenni successivi, abrogarono diversi commi di queste leggi ma senza riuscirne ad invalidarne lo schema generale: ne risulta una normativa a brandelli che come uno zombie è riuscita a procedere verso il terzo millennio con colpi di coda inaspettati.

Ad esempio, ad una richiesta del Ministero dell’Interno guidato da Roberto Maroni sul criterio oggettivo per il riconoscimento dei Ministri di culto di confessioni non regolati da intese con lo Stato, nel 2012 il Consiglio di Stato riuscì persino a peggiorare la situazione oltre la più fosca delle previsioni. Con una argomentazione azzeccagarbugli un diritto delle minoranze cominciava col richiedere come requisito un parametro mutuato dalla religione della maggioranza! Il parere suonò così: “La più piccola articolazione territoriale della Chiesa cattolica è la parrocchia” “il valore può essere orientativamente indicato in 500 persone, corrispondente […] con le più piccole parrocchie cattoliche” (Consiglio di Stato, parere n. 00561/2012). Tutto ciò anche in barba al fatto che una parrocchia cattolica consta di molti fedeli non praticanti, mentre una minoranza coinvolge tendenzialmente soprattutto fedeli praticanti.

Da allora le richieste di riconoscimento hanno cominciato ad accumularsi in risme sempre più cospicue e senza alcun intervento politico. Una nuova richiesta è pervenuta dal Ministero al Consiglio di Stato che con il recente parere n. 2325/2017 che non si è discostato dalla valutazione espressa nel 2012.

Arriviamo alla circolare del ministero dell’11 dicembre 2017. Essa insiste su tre elementi.
Innanzitutto afferma che il “modulo 500” va considerato come criterio indicativo e non come rigida soglia. In secondo luogo, individua il criterio alternativo della consistenza nazionale di 5000 unità, qualora la confessione non riesca a totalizzare il criterio locale. Pur tuttavia entrambi questi elementi erano già espliciti nel pronunciamento del 2012. Infine la circolare chiarisce che l’ambito territoriale “sufficientemente ristretto non debba necessariamente coincidere con la Provincia” e che “l’istruttoria potrà coinvolgere anche territori vicini e province contigue”.

In conclusione si tratta di piccoli elementi che potranno favorire lo sblocco di qualche pratica di riconoscimento, ma che non cambiano il paradigma limitante. La via di uscita, come già ribadito dall’Alleanza Evangelica Italiana e da altri organismi evangelici è quello di approvare una legge quadro sulla Libertà Religiosa che possa realmente attuare un sano pluralismo nel nostro paese.